Quando scienza, fede, filosofia non riescono a spiegarci veramente il mondo, può darci soccorso la poesia, infermiera senza pretese di salvezza ma capace di un piccolo miracolo: consolarci, educarci alla malattia e alla morte. Troppi i lutti da elaborare per il nostro poeta (perfino quello del figlio desiderato e mai avuto), insostenibili le quotidiane dosi di malattia altrui, difficile anche vivere l'amore senza la terapia della poesia. Mauro Liggi questa infermiera l'ha incontrata e se n'è innamorato. Medico chirurgo - come William Carlos Williams, Mario Tobino, Lorenzo Calogero, Gottfried Benn, Giuseppe Bonaviri, Margherita Rimi - Liggi è qui paziente di se stesso, dopo essere stato - dei suoi - testimone coatto del dolore e degli addii. Il suo sguardo, chino sui corpi in cura e sulla terra amara, è alla ricerca di barlumi di luce, che giungono - improvvisi e benedetti - dai ricordi d'infanzia (I mandarini nelle tasche/ cammino scalciando sassi) e dall'amore (La tua bocca non mente/ accorda le mie voglie/ al tuo volere). Una luce che allevia i dolori della vita, quando l'infermiera apre le persiane e ci sorride.
A.F.
*
Con quale pudore l'alba
abbraccia gli ospedali
rallenta il vento
sulle vetrate
tra le vite che intravede.
Il vagito di un bambino
il sudore della madre
il portapastigli
il sonno di chi trattiene
l'ultimo alito al cielo
rosari in cappella.
Che tenerezza l'alba
che invade gli ospedali
esitante
come la vita
che muore
e dopo la morte
la vita.
*
Scavo con le palpebre
nella terra umida
sciolgo il perdono.
Allatto un germoglio
di pianto
le mani a coppa.
Calati pure tu
sottoterra ora
anche ciò
che è vita
la mia inquietudine
vuole farsi albero.
Alla terra i miei occhi.